Tre giovani decidono di scrivere al Presidente della Repubblica per chiedere come risponde l’Italia a livello istituzionale in merito al fenomeno della tratta ai fini della prostituzione.
Inaspettatamente, il Presidente risponde.
Qui sotto la lettera che è stata inviata.
All’attenzione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella,
Gentilissimo Presidente,
siamo tre studentesse universitarie, Michela, Amalia e Chiara, provenienti da regioni italiane diverse (Sicilia, Toscana e Piemonte). Siamo nate all’interno di alcune realtà di accoglienza della Comunità Papa Giovanni XXIII, quindi cresciute in contatto con bambini che vengono da situazioni familiari difficili, ragazzi del carcere, persone con problemi di tossicodipendenza, disabili e ragazzi e ragazze di strada.
Le nostre case, per noi, sono sempre state una palestra per la vita per conoscere, capire e non tacere davanti alle ingiustizie che vediamo.
Lo scorso settembre ci siamo ritrovate a Pisa, per motivi di studio. Abbiamo scelto, per motivi e in momenti diversi, di iniziare l’esperienza dell’unità di strada con l’anti-tratta, gestita dall’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII.
Da circa otto mesi, insieme ad altri ragazzi della nostra età e ai responsabili del servizio dell’anti-tratta, ogni venerdì notte andiamo in strada ad incontrare le ragazze vittime di sfruttamento ai fini di prostituzione.
Il nostro gruppo incontra, nelle zone di Massa, ragazze provenienti dall’est-europa (Albania, Romania, Bulgaria) e a Sarzana ragazze africane, soprattutto nigeriane e ghanesi.
Ci avviciniamo a loro con semplicità, portando la proposta di venire via dalla strada, di scappare, di scegliere una vita che non le ferisca come fa la strada, che non le renda merci.
Noi ci siamo prese l’impegno di andare a incontrare le ragazze africane a Sarzana, ogni settimana, e così alle due/tre di notte, ci ritroviamo a parlare in inglese con ragazzine spesso palesemente minorenni (non sempre e non subito lo ammettono), che ci raccontano di aver vissuto la sofferenza del viaggio in mare e la violenza della Libia, di essere state vendute da finti fidanzati o da trafficanti e che adesso, in strada, si prostituiscono per pagare dei “debiti” che vanno dai 20 ai 70 mila euro, soldi che gli sfruttatori hanno prestato loro per arrivare in Italia.
Ogni incontro è una testimonianza di sofferenza, di violenza, ogni incontro è una storia, un nome, che poi ci portiamo dietro sempre, per tutti gli altri giorni della settimana. Le ragazze che incontriamo sono in strada per motivi differenti, hanno vissuti diversi alle spalle, ma nel momento in cui le conosciamo, quando ci avviciniamo ad ognuna, davvero, ci rendiamo conto che il male che vivono è lo stesso, ha lo stesso peso.Veronika è rumena, ha ventuno anni e dice di essere in strada da quando ne aveva diciotto, ha un bambino di otto anni ed ha alle spalle un passato molto doloroso. La maggior parte delle ragazze dell’est-europa che arrivano in Italia, vengono fidandosi del proprio fidanzato che, dopo averle abituate alla violenza, le costringono a vendersi in strada. In tutto questo, tante volte, le ragazze rimangono incinta del proprio fidanzato instaurando, così, un rapporto di totale dipendenza da lui. Sono costrette ad una violenza psicologica tale che gli impedisce di rendersi conto della schiavitù che subiscono e di ribellarsi ai soprusi.
Joy invece è nigeriana, ha diciassette anni ed è arrivata in Italia da pochi mesi. Ha viaggiato attraversando il Sahara, vivendo le violenze della Libia, delle quali porta le cicatrici sulla schiena, e viaggiando in mare, su un barcone per 11 ore. In Italia è costretta a vendersi sulla strada, a fuggire dalla madame. Ci ha raccontato che le avevano promesso un lavoro vero, una casa, la possibilità di aiutare la sua famiglia che in Nigeria vive la povertà, e che lei si era fidata e si è ritrovata sulla strada. “Ogni volta che mi fido, la mia vita peggiora”, ci dice quando le proponiamo di scappare con noi.
Anche Sonia è nigeriana, ha diciannove anni. Le piacciono i dolci, per il suo compleanno ha chiesto una torta per lei. È molto intelligente, è molto bella. Tutte le sere in strada è costretta a prostituirsi, ogni settimana deve portare un tot di soldi alla “madame” altrimenti rischia di essere picchiata, e in tutto ha un debito di trentamila euro. Non vuole parlare della sua famiglia, quando le chiediamo qualcosa di loro, abbassa gli occhi, dice che nel suo paese la gente muore di fame.
Quando le abbiamo chiesto di venire via con noi, lei ci ha detto che teme per la sua famiglia: i suoi sfruttatori sanno dove viveva, ha paura di metterli in pericolo scappando.Le ragazze che incontriamo sono tante, ogni sera, finito il giro, ci fermiamo un attimo a confrontarci, a scambiarci le informazioni, parlando delle ragazze una per una, chiedendo a chi si è fermato a parlare con quella come sta, cosa ha raccontato, come l’ha vista.
Il momento più pesante della serata, ci diciamo sempre, è quando il giro finisce, quando salutiamo le ragazze e saliamo sulle macchine. C’è il momento in cui ci voltiamo per andare, in cui noi saliamo in macchina e attacchiamo a palla il riscaldamento (fa davvero freddo in strada), scherziamo un po’ tra noi per scaricare la tensione, e pensiamo al fatto che finalmente andremo a dormire, e le ragazze, ragazze che hanno la nostra età, rimangono sul ciglio della strada, mezze nude, al freddo.
Il confronto è inevitabile, il confronto tra le nostre vite semplici, comode, con tanti privilegi. Possiamo studiare, siamo libere di scegliere come vivere, chi incontrare, cosa scegliere. Mentre Sonia, Joy, sono costrette a vendere il proprio corpo, a subire violenze senza fiatare, e si vergognano di come sono, tanto che in strada si danno un nome diverso e non raccontano alle loro famiglie in Nigeria quello che patiscono.
Vorremmo sapere cosa rispondere quando ci chiedono delle certezze, vorremmo avere gli strumenti per strapparle dalla strada, vorremmo sapere come fare per fermare la cattiveria che i loro corpi subiscono.
Cosa possiamo fare? A questa ingiustizia, come possiamo rispondere? Ci rendiamo conto che quello che facciamo non è abbastanza.
Cosa risponde a Sonia, a Veronika, a Joy un paese come il nostro? Che ogni sera nelle sue strade accoglie violenze così brutali, tollera una schiavitù così cattiva verso le sue vittime, rende legittime le richieste dei suoi clienti?Le scriviamo per chiederle, a lei che è padre di tutti gli italiani, come possiamo aiutare queste ragazze, che ci sono divenute care, che sono venute nel nostro Paese per costruirsi un futuro e che invece hanno trovato solo violenza.
Grazie per quanto fa per ognuno di noi.
Amalia, Chiara, Michela
Pisa, 1 Maggio 2017