Feirouz Al Agkmpari, giovane volontaria greca, in Italia con un progetto dello SVE, ci racconta la sua esperienza di due settimane nella casa di accoglienza per minori profughi non accompagnati di Reggio Calabria.
La nostra vita è piena di esperienze. Ogni giorno, ogni momento cerchiamo una ragione o qualcuno che possa aiutarci a capire meglio il mondo e darci un motivo per continuare a lottare per esso. Dicendo questo mi riferisco al mio soggiorno alla casa per minori non accompagnati di Reggio Calabria della Papa Giovanni XXIII. Reggio è una città italiana che è diventata un punto di “benvenuto” per molti immigrati e rifugiati che vengono in barca attraverso l’Africa. Molte di queste persone che arrivano in Italia sono minori solitamente soli, il che significa che questi ragazzi sono partiti dai loro paesi per arrivare in Italia attraversando molti ostacoli e difficoltà per raggiungere la loro destinazione. Così, quando sono arrivata alla casa, sapevo solo che avevano compiuto un viaggio pericoloso ma in realtà non sapevo cosa significasse esattamente questo.
In questa casa sono ospitati 12 ragazzi. 12 personalità completamente diverse, 12 storie diverse, 12 vite diverse e la condivisione di un obiettivo comune: un futuro in Italia. Quando arrivai in Calabria non avevo idea di come fosse la casa, la gente e la situazione, ero pronta a fronteggiare qualsiasi cosa. Ma vivere con loro per queste due settimane mi ha colto totalmente impreparata. Sapevo già che non sono come gli altri ragazzi, avevo un senso di paura riguardo a come dovevo avvicinarmi, a cosa potevo dirgli. Ma quello che ho capito il primo giorno è che malgrado il loro passato rimangono bambini che vogliono giocare, divertirsi e imparare.
Quindi questa sensazione di paura scompare abbastanza rapidamente con la prima partita di non “t’arrabbiare.”
Di giorno in giorno ho iniziato a vedere oltre l’immagine tipica dell’immigrato che avevo in mente, ho cominciato a vedere le persone , gli adolescenti che si nascondono dietro questo termine. Ridono, fanno scherzi, giocano, ma nello stesso tempo sono stata testimone dell’altro lato: l’ombra nei loro occhi quando parlano delle loro case, delle loro famiglie o la preoccupazione per il loro futuro.
È vero. Non sono come gli altri ragazzi. Sono più duri e fragili e hanno bisogno di essere amati in modo da poter continuare il “viaggio” che non è ancora finito.
In questa casa i ragazzi hanno trovato due volontari: Valentina e Leonardo che gestiscono la casa e si prendono cura di loro e Adriana, la nonna della casa, tutti cercano di sostenerli e dargli la possibilità di una vita normale: possono andare a scuola, avere amici e sognare senza timore del domani.
Ma come si può dimenticare lo ieri? Ascoltando un pò le storie, il loro cammino ,ascoltando ciò che hanno passato, bloccati in celle per giorni senza cibo o acqua o che sono stati vittime di violenza e abusi sessuali già dalla tenera età, questo ti riempie di rabbia e delusione e una domanda: perché?
Perché questi ragazzi dovevano lasciare le loro case? Perché vengono trattati come figli di un Dio inferiore? Perché nessuno cerca di fermare le violenze quando tutti sanno? Ma allo stesso tempo ti senti più ottimista quando li vedi vivi, ancora sorridenti con la speranza e almeno adesso possono aspettarsi qualcosa di meglio, essere trattati con dignità e rispetto.
Lo Ieri di questi bambini forse ora sembra un po’ lontano ma per altre persone è ancora l’ Oggi.
Mentre ero a Reggio ho avuto l’opportunità di visitare il porto con il responsabile della casa Giovanni, quando c’era uno sbarco. Ogni volta che ritorno a quel giorno mi viene in mente l’immagine della gente sulla barca mentre stavano aspettando di scendere ,nei loro volti gli occhi erano pieni di felicità e speranza perchè sono stati salvati, sopravvissuti a questo viaggio e pronti per iniziare la loro nuova vita e costruirla senza la paura continua. Girando lo sguardo verso l’altra parte si vede la polizia i medici e i volontari pronti ad accoglierli in questa nuova realtà con una bottiglia d’acqua, merendine, maschere e impronte digitali. Questa immagine suppongo possa generare molti sentimenti, da un lato possiamo vedere molte persone che stanno dedicando una parte del loro tempo personale cercando di gestire una situazione spiacevole e che spendono tutte le loro energie aiutando queste persone e dicendo loro che tutto sarà meglio da ora. Dall’altra parte vediamo il sistema. Il sistema istituzionale che tratta le persone come numeri, casi e come un problema sociale che dovrebbe essere mantenuto entro i confini e non lasciare che questi popoli fuggano nell’ “Europa Civilizzata”. Queste persone non hanno lasciato la loro casa, la loro vita perché volevano. Sono stati costretti ad abbandonare le loro terre , sono scappati da un inferno in cerca di un paradiso occidentale però proibito. I loro volti stanchi e sporchi ma illuminati dalla speranza.
E poi il mio sentimento: era un pò preoccupata che forse non ci siano ancora, forse la vita migliore devono ancora aspettarla un altro pò …
Ma tutti questi sentimenti misti e il senso di depressione improvvisamente erano scomparsi quando sono tornata a casa. Un partita di non “t’arrabbiare” con i bambini mi ha ricordato che non bisogna credere che tutto sia perduto.
Quindi, dopo settimane che ho lasciato la Calabria, tutti questi pensieri e ricordi, i balli con i bambini sul balcone o insegnargli a nuotare nel mare mi lasciano con un sorriso sul mio volto e tanta speranza. Perché so che sono stati fortunati, hanno una famiglia , strana, ma una famiglia. Ora possono pensare ad un futuro più ottimista, sorridere, essere bambini e sognare per il loro futuro, anche se hanno già vissuto una vita.
Immagino che il momento più difficile a Reggio fosse quando dovevo dire addio a loro e di non essere in grado di rispondere quando tornerò, se tornerò. È sempre difficile partire perché ho lasciato una parte di me, ma questa volta ho anche preso qualcosa con me: ho preso la loro energia, la loro innocenza e, soprattutto, la loro forza. E’ lì, nella piccola città d’Italia, che ho trovato i miei eroi, i miei piccoli eroi che sono diventati la mia motivazione a cercare di costruire un mondo in cui tutti avranno la possibilità di una vita fondata sulla dignità e sulla libertà. Quindi, grazie ai ragazzi che mi avete mostrato che non importa quanti anni hai, puoi essere un eroe, e puoi sempre dire vaffanculo mondo, io sopravviverò e ti farò cambiare!!
19/07/2017
Feirouz Al Agkmpari
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