La prima volta che entri in un carcere è strano.
La cosa che colpisce, sempre, è il senso di chiuso, di stretto che trasmettono i soffitti bassi e i corridoi squadrati, tutti dello stesso colore. L’ordine delle sedie, le sbarre, tutto è composto, un po’ freddo.
“la cosa che a me fa più impressione” racconta Chiara, 19 anni “è che ogni spazio è chiuso, sempre limitato, tutte le volte che ti aprono una porta, ne chiudono una dietro.”
Ed il peso che ti porti sempre, prima di entrare, è quello della paura di non sapere cosa dire, come fare, fino a dove puoi spingerti con le distanze da mantenere. E il peso dei pregiudizi: cerchi sempre di allontanarli da te, non sai i nomi e i volti di chi andrai a incontrare, ma sai che quelli che incontrerai sono lì per dei motivi, e quei motivi ti fanno paura.
Comunque ci entri, sembra tutto pesante prima, poi basta incontrare davvero le persone, e diventa tutto “leggero“.
Come raccontano Enrico e Maverick, dopo una partita a calcio nell’IPM di Acireale: “All’inizio c’è imbarazzo.” dice Enrico “Ero già entrato in carcere, ma mai nel campetto, e giocare a calcio con attorno il muro alto e le celle è stato strano. Strano ma bello. Sono dell’idea che le cose le devi vivere, è difficile da raccontare.”
“Entri timoroso, incontri ragazzi dal carattere forte, hai in testa il fatto che se sono lì c’è un motivo.” continua Maverick ” Ma poi giocando si scioglie tutto, tutti si appassionano, e nel gioco i ragazzi aspettavano Mauri, un ragazzo autistico che era venuto con noi a giocare.”
Come racconta Davide, 20 anni, dopo l’ennesima visita al minorile di Acireale: “è strano descrivere quello che si prova ogni volta. Sono tornato in visita in carcere dopo circa tre mesi, ho trovato facce nuove e volti conosciuti. Ho rivisto Micael, non lo vedevo dentro da un anno: ‘mi hanno ripreso, ma stavolta non sbaglio più, devo cambiare‘. Frase già sentita mille volte, da mille persone. Ormai sembrano frasi fatte.
Poi una cosa che penso sempre è che sono dei ragazzi, hanno la mia stessa età, la mia passione per il calcio, la mia stessa voglia di viaggiare, la mia stessa voglia di spaccare il mondo. Ma loro sono lì. Per una rapina per portare da mangiare a casa, per spaccio, per poter regalare il bracciale costoso alla fidanzata, per tentato omicidio, per una rissa finita male…
Credo che nessuno nasca ciò che poi diventa. Nessuno nasce carcerato, nessuno sceglie di viversi la vita dietro le sbarre, c’è sempre una situazione o qualcuno che lo fa diventare. Basta anche trovarsi nel posto sbagliato, basta reagire male a una provocazione, basta nascere nella famiglia o nel quartiere sbagliato.
È dentro il carcere che sento di potermi comportare come me stesso, senza paura e senza pregiudizi. La cosa bella è quando i ragazzi ti ringraziano perchè ‘potevi fare altro e sei venuto qui, non lo avrei mai fatto io per qualcun’altro‘. Ed è lì che ti rendi conto che qualcosa in fondo al cuore glielo lasci.“
Come racconta Serena, 19 anni, dopo una giornata al carcere di San Gimignano: “Io ero seduta accanto ad Antonio, abbiamo parlato dei suoi dipinti, dei suoi 20 nipoti, di sua figlia che non vuole vederlo, del fatto che ha 60 anni ed è da 32 anni in carcere e che vorrebbe trascorrere la vecchiaia a Caserta. Abbiamo parlato della luce, del suo non credere in Dio, ma del fatto che una luce, lì dentro, bisogna trovarla per forza, perchè altrimenti si esce fuori di testa. Antonio non riceve molte lettere. Lo guardi e non ti sembra nemmeno che abbia 60 anni, che possa avere l’ergastolo, sembra un nonno giovane. Eppure lui stesso ha detto che bisogna accettare il proprio buio per trovare la propria luce. Mi rendo conto che ai miei occhi non è stato un nonno giovane e nemmeno un carcerato da ergastolo. Lì lui era Antonio, sia il nonno che il carcerato, era lui, e io Serena. E la nostra era una conversazione piena di vita, semplice, ma come se entrambi, in quelle poche parole, avessimo cercato di prendere dall’altro tutta la luce.”
“L’incontro più bello per me” continua” è stato con Salvatore, che si sporgeva dalle sbarre della porta del reparto. Non so cosa abbia fatto lui, ma a vederlo non sembra capace di fare male ad una mosca. E’ strano. C’è stato questo saluto tra di noi attraverso le sbarre. Ci siamo stretti la mano e mi ha accarezzato il viso. E io ero contentissima, era come se sul momento non mi fossi accorta di quelle sbarre attraverso le quali spuntavano le sue mani, come se la leggerezza del sentirmi a mio agio non mi stesse facendo accorgere di quanto pesante fosse quella stretta di mano. Solo tanta felicità in me nel vederlo e tanta felicità in lui nel vedermi. Una volta varcato il portone ho sentito come un macigno su di me e ripensando al momento appena vissuto mi sono sentita persa tra il peso di quelle sbarre e la leggerezza di quell’incontro.”
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