Ciao a tutti!
inutile perdere tempo a chiacchierare, buona lettura!!
E’ il 29 dicembre, arrivano con occhi desiderosi di Amore e tanta voglia di vivere un’esperienza di Vita. In tutto sono una trentina per questo campo Fuori le mura, “Ultimo con gli ultimi”.
Tra le uscite organizzate e proposte c’è anche l’unità di strada con le vittime di tratta.
E’ venerdì, fuori piove, al pomeriggio facciamo l’incontro di “formazione” per spiegargli cosa andremo a fare, chi sono le ragazze che incontreremo, per provare ad “equipaggiarli” (per quanto non sia comunque mai abbastanza!!) per quel groviglio di emozioni e sensazioni che andranno a vivere.Sono le 21, con thè brioches e dei rosari colorati, partiamo, su due pulmini. Un gruppo farà la zona dove ci sono le ragazze bianche, rumene e albanesi in maggioranza, che però è possibile che non ci siano perché durante le feste tornano dai loro bambini nei Paesi d’origine; l’altro gruppo farà la zona del lungomare, dove ci sono le ragazze nigeriane.
Io sono nel gruppo di quelli che incontrerà le nigeriane, con sette ragazzi e un sacerdote.
Ormai ci aspettano: sanno che andiamo il venerdì e se non riusciamo il sabato.
Hanno grandi occhi scuri, la pelle color ebano e nomi che in italiano significano Speranza, Gioia, Fede, Salvezza, Grazia.Sono giovani, bellissime, spesso minorenni, e costrette a vendere il loro corpo ai 9 milioni di clienti che ogni sera le trattano come merce.
Ingannate, adescate dal racket della tratta di esseri umani, partono dalla Nigeria, da villaggi di periferia o della capitale, dove vivono spesso con famiglie numerose e poverissime. Partono in cerca di un riscatto, del loro riscatto.
Partono sognando di poter aiutare i propri fratelli e permettergli di andare a scuola, partono pensando che in un’altra terra possa essere più semplice. Spesso sono anche vendute dalle madri stesse, per la disperazione forse, per la sofferenza di non riuscire ad arrivare alla sera con un pezzo di pane o con le medicine per curarsi.
È qui che inizia l’inferno.
Sottoposte a un rito vodoo prima di partire, dove con un sacrificio e formule magiche giurano ad un sacerdote di impegnarsi a rispettare ciò che gli verrà chiesto e a restituire i soldi del viaggio in Europa.
Il viaggio della speranza, attraverso il Niger e la Libia, spesso accampate con altri uomini e donne in grandi container, per giorni senza acqua e cibo, ripetutamente violentate e abusate anche dagli uomini del posto.
Poi c’è la barca: quelle barche che si vedono in televisione, che negli ultimi anni continuano a fare tanto scalpore e a scuotere apparentemente coscienze. Quella barca che in una notte attraversa il mare e quando parti non sai se arriverai sano e salvo in Italia.
Eccola, l’Italia: anche qui c’è qualcuno dell’organizzazione mafiosa che le aspetta e le accompagna verso quello che diventerà un incubo.
Ogni sera in strada, con abiti succinti e quasi invisibili.
60, 70, 80 mila euro sono le cifre che devono pagare, per “riscattare il debito contratto in Nigeria”, con l’inganno.
Tutto ciò che guadagnano devono darlo alla maman, la donna nigeriana che le controlla e che solitamente ha sotto di lei cinque o sei ragazze.
E poi si paga per il pezzo di marciapiede, per i vestiti, per il cibo. Per tutto.
Se no sono botte, violenze, minacce, fisiche e psicologiche.
È un baratro di sofferenza, di odio, di crudeltà, di umanità che perde ogni dignità.
È “quanto soffri?” che gli chiediamo quando le incontriamo, e non quel “quanto costi?” che piace tanto ai clienti, spesso padri di famiglia e con i seggiolini nella macchina.
E’ attraverso una parola, un gesto di conforto, che proviamo a creare un rapporto di dialogo e fiducia, alimentato dal costante passaggio ogni settimana, con l’obiettivo di strapparle da quel mondo, di fargli capire che una vita diversa è possibile, che non possono e non devono spegnere la speranza in un futuro migliore, pensato per loro.È il coraggio di buttarsi e di credere che qualcosa di Bello sia ancora possibile ciò che gli permette di fuggire da quella strada, da quel mondo, da quella sofferenza.
Le storie di riscatto ci sono, portano sempre quei nomi citati prima, che anelano alla libertà, e profumano di Vittoria, di Vita.
Ne incontriamo 8-9, sono “poche” stasera, rispetto alle 20-25 che ci sono ogni settimana..forse è il freddo, forse c’è stata qualche retata della polizia.
Sorridono, cantano, si lamentano che c’è poco lavoro, che sperano sia l’ultimo anno in cui stare lì, poi ballano, pregano e ringraziano il Signore per il dono della loro e della nostra vita.Mi riempiono il cuore, ogni volta come se fosse la prima.
Torniamo a casa e nel pulmino non si sentono più le chiacchiere tra i ragazzi come prima: è l’effetto strada.
Rimbombano le emozioni, a parlare sono le sensazioni, i cuori toccati, le anime un po’ sconvolte.
Ricordo ancora la mia prima uscita in strada: novembre 2011, a Cuneo c’erano -11 gradi e la prima ragazza che ho incontrato è stata Vittoria. 25 anni e due figlie in Nigeria, la terza bambina le è stata uccisa davanti agli occhi. Mi aveva trafitto con il suo sguardo, lo sguardo di chi spera di tornare a casa e scappare da quell’inferno.
Non ho più avuto sue notizie, chissà se è riuscita a riabbracciare le sue bambine.
Ci penso spesso, a lei e alle altre incontrate in questi anni, e guardando i ragazzi che sono venuti con me, torno indietro con la mente, a quella notte in cui poi non avevo chiuso occhio.
Prima di dormire mi affaccio nella stanza davanti alla mia, dove dorme una delle ragazze scappate dalla strada quando era al quinto mese di gravidanza. Apro la porta e la vedo al cellulare, mi dice “Com’è andata in strada?”. E’ lì con la sua bambina che respira serena vicino alla mamma.
Sorrido e le do un bacio.
Mi metto nel letto pensando a quelle che abbiamo incontrato, con le loro voci e i loro occhi nella testa e nel cuore la speranza di potergli dare la buonanotte un giorno.
Se vi capita di passare da Chieti, fermatevi in capanna, è un posto pieno di bella genta che si da un sacco da fare!!xD
Buona settimana!
Giorgio