Il post di oggi è dedicato al racconto di Giovanni, ventenne, che con “CSI per il Mondo” ha portato la travolgenza e la bellezza dello sport fino ad Haiti.
Ciao a tutti,
sono Giovanni e quest’estate sono stato ad Haiti per 3 settimane con “ CSI per Il Mondo”, un progetto di volontariato sportivoideato dal CSI Milano a partire dal 2011.
L’obiettivo?
Formare giovani allenatori, arbitri e giocatori, ma prima ancora portare la forza travolgente dello sport in giro per il mondo, in particolare nei paesi più in difficoltà, dove questo prende ancora più importanza a livello sociale e di sviluppo individuale.
Ebbene, queste tre settimane sono state le più dense che io abbia mai vissuto. Ricche di emozioni forti, di scene toccanti, di momenti di debolezza e disorientamento.
Avevo visto foto e sentito racconti, ma come spesso accade, questo non basta perché tu ti renda conto effettivamente di ciò di cui si sta parlando. Vivere la difficoltà, la mancanza di comodità, la povertà, sbattere la faccia contro impossibili condizioni di vita: era quello che volevo, ciò di cui sentivo di aver bisogno. Ancor prima di partire sono stato subito travolto da un incredibile voglia di fare, conoscere, condividere, mettersi a disposizione degli altri volontari, che mi hanno sorpreso e mi hanno dato sicurezza. Ad Haiti tutto questo si è amplificato, complice quell’atmosfera di “vita vera” che si respirava costantemente, ma che solo i bambini sapevano far esplodere nell’aria. Sono stati sufficienti pochi giorni per far sì che mille pensieri e domande mi assalissero, senza che riuscissi a rispondere minimamente a una di queste.
L’attività con i bambini però mi ha salvato: non c’è nulla di più soddisfacente di vedere la felicità sul volto dei bambini, la voglia e l’impegno che ci mettono per dare il meglio di sé!
Uno dei momenti che ricordo con piacere è stato durante le Olimpiadi organizzate a Corail, un quartiere nato su una collina in seguito al terremoto del 2010.
Dopo la cerimonia di apertura, con tanto di accensione del braciere olimpico, tutti alle proprie postazioni. Mi è stata assegnata la staffetta, e non essendoci tempo e spazio a sufficienza, devo prepararla di corsa. I bambini sono già pronti e carichissimi come sempre. Abbozzo un percorso con pietre, cinesini, nastro da cantiere e qualche panca. Ultimo ostacolo: strisciare per qualche metro sotto una rete di nastro. Non faccio in tempo a finire il percorso che già una decina di marmocchi hanno abbattuto le panche e rotto i nastri. Non mi do per vinto e inizio a sistemare. Nel frattempo i bambini si inventano mille varianti del percorso, si ammassano e si incastrano sotto la rete: tutto (quasi) sotto controllo. Alcuni mi aiutano a ricostruire il tracciato, altri mi sostengono con un piacevole massaggio alla testa, altri scelgono questo momento per capire come funzioni il mio orologio, mentre alcuni ancora increduli si chiedono come i miei capelli possano non essere crespi: sempre concentrati sulla staffetta questi scriccioli. Poi ci sono gli atletici che ti vogliono sfidare, e quelli un po’ più avanti che iniziano a districare il groviglio di gambe dei bambini incastrati nella rete. Non potevo credere a tutto ciò, ma tutti erano contenti, me compreso! Insomma, un’ora intensissima ma sicuramente uno dei momenti più divertenti che io ricordi!
Allo stesso tempo però non riesco a togliermi dalla mente le scene viste uno degli ultimi giorni in un quartiere degradato che abbiamo visitato, accompagnati da una suora che gestisce una scuola/orfanotrofio in quella zona. Ci siamo addentrati nel cuore del quartiere, passando per stradine sterrate e piazzette dove i ragazzi si ritrovavano, e poi dentro per viuzze fangose strettissime, che si snodano tra baracche di lamiera e stracci. Siamo stati accolti da qualche famiglia, e abbiamo avuto la possibilità di vedere le condizioni in cui vivono queste famiglie. In quel momento ho provato una sensazione stranissima… un misto di rabbia, senso di impotenza, ammirazione e incredulità. Un groviglio di emozioni sconvolgente. In questi momenti, così come in molti altri durante la missione, rimanevo senza parole di fronte alla povertà.Non si tratta solo delle visite alle baraccopoli, ma anche più semplicemente dei momenti di distribuzione dell’acqua e del pranzo durante le attività, dei momenti di affetto tra fratelli, della spensieratezza dei bambini sul campo di gioco.
Sono davvero contentissimo di essere partito, perché pur sapendo di non aver cambiato la vita di quei marmocchi, che probabilmente mi avranno già dimenticato, quest’esperienza mi ha reso le idee più chiare su quanto sia necessario e soddisfacente aiutare chi ne ha bisogno e fare in modo che anche nei modi più semplici e divertenti, si possano trasmettere emozioni ineguagliabili, ma soprattutto condividere valori davvero essenziali perché si possa vivere la vita a pieno, godendosela fino in fondo, indipendentemente dalle condizioni in cui si vive. E con lo sport tutto ciò diventa più facile e divertente!
Non vedo l’ora di ripartire!
Gio