Come abbiamo passato la Pasqua quest’anno? Il detto dice: “Pasqua con chi vuoi“.
Il nostro “con chi vuoi” con chi è stato?
Molti avranno passato la Pasqua in casa, a scartare uova di cioccolato e litigare per le sorpresine. Avranno vissuto la bella giornata che c’è stata nelle tavolate piene di cibo, a chiacchierare con i parenti e gustarsi la famiglia. Magari altri saranno stati con amici, compagni di scuola, di gioco.
C’è chi, invece, il suo “con chi vuoi” lo ha scelto in strada, andando incontro ai ragazzi del carcere, alle ragazze di strada o passando le feste con i senza fissa dimora, in Capanna, alla stazione o portandoseli a casa.
Come Stefano, sedici anni, che la Veglia di Pasqua l’ha vissuta insieme ai ragazzi dell’Istituto Penale Minorile di Acireale (CT) e racconta: “insieme ai ragazzi del carcere ho pregato e successivamente abbiamo passato dei momenti di gioco tutti insieme (biliardino, ping pong ecc…). Al momento dei saluti è stato bello perchè mi hanno salutato uno ad uno facendomi ancora gli auguri di un felice pasqua.”
Come il gruppo dell’Unità di strada della zona Toscana, che all’una di notte ha accolto la Pasqua insieme alle ragazze nigeriane in strada, mangiando insieme un dolce, chiacchierando, attraverso preghiere e canti, stringendosi per mano in un grande cerchio. “Mangiare in strada, con le ragazze, la pastiera fatta da mamma, quella riservata ai festeggiamenti con le persone importanti” ricorda Veronica “e vedere una ragazza chiedere il bis con un sorriso è stato un miracolo in mezzo al freddo e alla stanchezza di quella sera. Ringrazio il Signore perchè anche quella notte ha vinto il buio del mio cuore che aveva bisogno di famiglia”
O come nella Casa Famiglia di santa Venerina (CT), che ha voluto festeggiare davvero in grande: “è stata una festa aperta a tutti, qualche giorno prima papà faceva i conti di quante persone ci sarebbero state per sapere quanti chili di carne comprare.” racconta Paola “Quest’anno oltre amici, compagni di scuola o “parenti” (=zii e cugini di comunità) si sono aggiunti quattro personaggi particolari che puntualissimi, “più puntuali di qualcuno che abita al piano di sopra” (mi dicono di precisare), alle 10.30 ci aspettano nel cortiletto riposandosi dopo aver fatto “solo” 23 chilometri in bicicletta (ma “nenti è, su signorina“). Giorgio jr., Giorgio senior, Giusy e Salvo sono quattro dei nostri ormai vecchi amici che da due anni a questa parte incontriamo ogni martedì in strada a Catania per scambiarci, oltre a un bicchiere di thè, quattro chiacchiere e, stavolta, anche un invito a pranzo. La mattinata scorre tranquillamente, una bella atmosfera profumata di carne e illuminata da un impeccabile sole siciliano. Durante il pranzo Giorgio ci chiama e, sottovoce, ci dice di aver osservato per un po’ papà, ma di non averlo visto mangiare neanche un po’. Papà lo rassicura dicendo che avrebbe mangiato finito di cucinare. Ma le promesse non bastano: “ora appena finisce si siede qua davanti a me e me lo fa vedere che mangia“, gli dice Giorgio. Una minaccia? Adesso chi è l’invitato?“.
Come Mariachiara, diciotto anni, che da Cuneo racconta: “Quest’anno ho deciso di passare la Pasquetta nella Capanna di Betlemme di Rimini. Io e Giulia siamo partite alle 5 e mezza del mattino, la decisione di partire è stata presa al volo, e sono davvero felice di averlo fatto! Siamo arrivate in Capanna giusto per il pranzo. Il primo contatto con i senza fissa dimora è stato strano, la mia timidezza gioca sempre un po’ brutti scherzi, ma la loro umanità mi ha sciolto in pochi minuti e dopo poco mi sono sentita coinvolta da tutto.
Ho avuto la fortuna di vivere la quotidianità della Capanna, quindi dai pasti al giro in stazione che è stato credo il momento più bello. L’incontro che mi ha porto di più è stato lì, la sera, con una donna afgana di nome Fatima. Era da sola, persa nelle sue preoccupazioni. Stava camminando a vuoto in un parcheggio, ricurva su di se, silenziosa, con il viso sofferente, preoccupato ma vigile. GLI OCCHI. Mi sono avvicinata, l’ho guardata e sono rimasta paralizzata dai suoi occhi, dallo sguardo vuoto con cui ha rivolto la sua attenzione dall’asfalto a me. Degli occhi che sostituivano ogni parola, che dicevano tutto. Per me quello è stato un rapimento. Mi aveva rapita con uno sguardo. Provai a parlarle perchè volevo che mi dicesse qualcosa, per aiutarla, per fare qualcosa per lei, per capire. Finalmente quando aprì bocca mi raccontò quello che viveva, la sua paura, il suo disagio. Uso la parola disagio, perchè è l’unico aggettivo che si può usare per descrivere queste situazioni così ingiuste e sofferenti. Riuscì a convincerla a venire con me in Capanna, venne ma era preoccupata, dopo un po’ non ne volle sapere e se andò durante la cena.